A che serve la conoscenza?

Non c’è niente da fare. L’uomo riesce a torcere ogni singola manifestazione dell’esistente alla sua ignoranza e disonestà, come una pressa che a piegare è l’acciaio, anche quello più resistente. Prende il singolo fatto, un costume, un simbolo di cui la storia pure abbonda, strappandoli con violenza a un contesto di riferimento, incurante di etimi e matrici, li curva e li prostra fino a deformarne il senso e contenuto sul modello mentale delle proprie aberrazioni e vi appunta solennemente il vessillo di un articolo 21 della patria costituzione.  

A che serve la conoscenza di un argomento, di un soggetto, di un prodigio?  

Costa fatica indagare, approfondire, penetrare. 

E soprattutto: costa tempo. 

 

Una buona disposizione, il tempo, che chi ci precedette seppe coltivare e che noi, illegittimamente più illuminati, abbiamo magistralmente tradito. Snoccioliamo fatti e sentenze alla pari di un denocciolatore industriale per albicocche, incolore e impassibile, pur dotato - almeno lui - di un processore logico a migliorare le prestazioni, scadendo in una tenebrosa litania e processione di accadimenti, noiosa e monocorde,  

Travaglio insegna.  

Palleggiamo segni con ostentata indifferenza e disprezzo per la loro stessa arte come se fossero armi da getto, inchiodando in un accesso febbrile e paranoico il supporto materiale che li esprime alla sola dimensione ideale di convenienza e opportunità,  

la svastica illustra.  

Vestiamo un indice di ignoranza in Italia come l’Ultimo Imperatore di casa Valentino le sue modelle alla Mirabilia Romae di allora, con la marcata e insistente tendenza a non saper valutare la portata dei fenomeni che è a tradursi in una distanza tra percezione e realtà che soltanto i paesi a bassa scolarità ci invidiano,  

Pagnoncelli confessa.  

Il tempo che io impiego a vergare quattro righe di riflessioni alla mia maniera, una schiera di illuminati ha già dato in pasto alle torme l’ultimo assaggio di arte, tecnica e attività di interpretazione e vaticinio di eventi storici e deflagranti in corso, fino a quel momento clamorosamente ignorati e mai toccati. 

 

Ciò che vi è di peggio - non fosse già abbastanza amaro e desolante il comportamento - è che il prezzo in termini di sofferenze e dannazioni, fisiche e morali, di un tradimento così confezionato sono a pagarlo tutti quei soggetti, individualmente e collettivamente, che l’esistente incarnano e manifestano inesorabilmente. Soggetti, persone umane, uomini, donne, bambini - come noi che li sconfessiamo nell’ignoranza; cose, animali, fiori, piante, perché no.  

 

Noi soggetti, giudicanti senza cognizione, gongolanti in quello stato di grazia di una certezza che idealmente è a corrispondere alla conoscenza sicura di un fatto, alla convinzione, alla ferma persuasione, al possesso fuor di dubbio, consegniamo l’altro al supplizio, un campo aperto in cui scontare la pena delle nostre paranoie, illusioni e ossessioni. Prigionieri dei nostri stessi abbagli in assenza di una vera conoscenza, abbarbicati a convinzioni e credenze come l’edera al muro, mai disposti a concederci lo spazio e la libertà di cadere nei molti errori di mente e sensi ad alterare la realtà, 

ci dimentichiamo dell’altro nella sostanza di una verità a lui propria 

lo spogliamo con violenza della sua persona 

e lo obblighiamo a vestire i panni ingenerosi di una qualsiasi proiezione. 

La grave e funesta condizione di asfissia così cagionata, dentro e fuori, che emana dalle stesse convinzioni, cementate a tal punto da invadere e ingombrare ogni spazio vitale a noi affidato con idee persistenti e molestanti, comportamenti assillanti e attività deliranti, si fa insopportabile: la fame d’aria fa impazzire, non ragioniamo più, ci feriamo deliberatamente, non avendo altra via per urlare un dolore che divora, che graffia e strazia, e uccidiamo.  

 

Perché noi non ci pensiamo a tutto ciò, non ci interessa, non ci tocca. A noi non piace approfondire le questioni, non ci serve, siamo già gran maestri, tutti quanti, detentori della verità,  

sempre una 

sempre sola 

sempre nostra.


Sabina Greco